Le uditrici al Concilio Vaticano II: Alcune considerazioni

uditrici

Ana Cristina Villa B

Passare qualche giorno in un archivio storico è come sporgersi da una finestra a sbirciare scene d’altri tempi, scoprire la storia sotto una luce molto diversa rispetto a quanto si può sperare dalla lettura di un libro. I tesori custoditi negli archivi in un certo senso permettono di “incontrare” i protagonisti nei loro appunti, lettere, ricordi… tutte cose che essi stessi hanno ritenuto importanti da conservare, perché negli anni avvenire si potessero rivivere in qualche modo le loro stesse esperienze.

Queste le mie sensazioni l’estate scorsa, quando ho esplorato l’archivio degli uditori laici al Concilio Vaticano II custodito al Pontificio Consiglio per i Laici. È stato per me appassionante e molto arricchente poter consultare direttamente tanta documentazione riguardo a un avvenimento storico che ha segnato la vita della Chiesa degli ultimi cinquant’anni. Specialmente scoprire il lavoro di un piccolo gruppo di uomini e donne invitati a prendervi parte. È un capitolo poco noto della storia del Concilio. Ed è stato particolarmente illuminante constatare dai documenti, in modi diversi, la chiara coscienza storica degli uditori: si rendevano perfettamente conto che per la prima volta dei laici in quanto tali venivano invitati a un Concilio – laici erano stati presenti in altri concili, ma in qualità di rappresentanti del potere civile, non in quanto christifideles – ed erano perciò pieni di stupore e di riconoscenza, decisi ad assumere molto seriamente la responsabilità che il Papa affidava loro. Inizialmente, nella seconda sessione, fu costituito un gruppo di tredici uomini, che fu esteso per la terza e la quarta sessione, fino a includere ventitré donne.

Il gruppo delle donne fece il suo ingresso ufficiale nell’aula conciliare nel settembre 1964; la novità fu salutata da innumerevoli articoli di giornali, non solo italiani, foto e anche commenti scherzosi di chi le definiva solennemente e simpaticamente “madri” del Concilio, o si rivolgeva a loro come carissimae sorores… Comunque, passata l’attenzione giornalistica per la novità, la loro presenza si integrò ben presto nei consueti lavori del Concilio e le uditrici, religiose e laiche, si inserirono senza problemi nelle proprie commissioni, lavorando alacremente.

Forse alcuni avvenimenti dell’epoca possono apparirci singolari, sicché nel contesto delle celebrazioni del cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio qualcuno ha voluto rievocare quegli accadimenti cercandovi materia per avanzare rivendicazioni o discutere sul ruolo della donna nella Chiesa, lamentando una presunta discriminazione. Come ad esempio nel caso della sala del caffè separata, riservata alle sole uditrici. O nel fatto che non erano ancora maturati i tempi perché una donna intervenisse alle plenarie nell’aula conciliare a nome di tutti gli uditori. Era evidentemente un’altra epoca e sbaglieremmo se interpretassimo in modo affrettato i fatti, guardandoli con gli occhiali del rivendicazionismo. Si tratta di comportamenti oggi impensabili, e di fatto non si sono più ripetuti. Oggi nessuno si è stupito e tanto meno fa notizia se al recente sinodo sulla nuova evangelizzazione il numero di uditori e di uditrici praticamente si equivaleva, e il gruppo delle esperte era di tutto rispetto. Le donne hanno parlato, partecipato, lavorato, hanno contribuito alla redazione dei testi, sono intervenute. E la sala caffè era unica…

Un altro pericolo serio da evitare rievocando la storia del Concilio e la presenza delle donne, è che nell’ansia di cercare novità o presunte rivoluzioni perdiamo di vista il vero rinnovamento apportato dal Vaticano II. Il risveglio della coscienza della universale chiamata alla santità e della vocazione e missione dei fedeli laici nella Chiesa costituiscono senza dubbio alcuni tra i frutti più preziosi del Concilio, i quali, cinquant’anni dopo, ancora attendono di essere pienamente compresi e realizzati. Ancora pochi anni prima del Concilio si sentivano definizioni del laicato di questo tenore: «il laico è una causa seconda strumentale dell’apostolato esercitato dalla gerarchia». Nel corso della seconda sessione l’intellettuale francese Jean Guitton uditore, osservò: «Per la prima volta nella storia, un concilio ecumenico ha posto la questione dei laici in tutta la sua portata. Cerca il loro posto all’interno del Popolo di Dio in cammino. Tutta la nostra partecipazione alla vita della Chiesa ne sarà poco a poco trasformata. Se ne sentiranno gli effetti in tutti gli angoli del mondo, in tutte le comunità e fino alla più piccola delle parrocchie».

E davvero è cresciuta la consapevolezza che la Chiesa è sacramento di comunione, in primo luogo di comunione tra Dio e gli uomini e, quindi, degli uomini tra loro; un popolo costituito come corpo, il cui capo è Cristo. Dice la Lumen gentium: «nella struttura del corpo mistico di Cristo vige una diversità di membri e di uffici. Uno è lo Spirito, il quale per l'utilità della Chiesa distribuisce la varietà dei suoi doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza…» (LG, 7). Poco oltre, la stessa Costituzione affronta felicemente il tema della complementarità delle vocazioni: «i Pastori della Chiesa sull'esempio di Cristo sono a servizio gli uni degli altri e a servizio degli altri fedeli, e questi a loro volta prestano volenterosi la loro collaborazione ai Pastori e ai maestri. Così, nella diversità stessa, tutti danno testimonianza della mirabile unità nel corpo di Cristo» (LG, 32). E riguardo all’apostolato dei laici, Lumen gentium afferma che si tratta di una «partecipazione alla missione salvifica stessa della Chiesa; a questo apostolato sono tutti destinati dal Signore stesso per mezzo del battesimo e della confermazione. […] Ma i laici sono soprattutto chiamati a rendere presente e operosa la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze, in cui essa non può diventare sale della terra se non per loro mezzo» (LG, 33). Non è certo esagerato affermare che questa rinnovata coscienza della vocazione e missione dei fedeli laici nella Chiesa è stata resa almeno in parte possibile grazie al lavoro di uditori e uditrici.

Durante questi cinquant’anni che ci separano dal Concilio si è scritto molto sul ruolo della donna nella Chiesa. In alcuni casi si è voluto parlare di porte che erano state aperte e che poi sono state di nuovo chiuse. Tuttavia non è questo che si percepisce leggendo i documenti conciliari. Non sempre viene tenuto nel dovuto conto il rinnovamento che si è realizzato grazie a una maggiore presenza dei laici e a una più piena coscienza della loro vocazione e missione, includendo naturalmente le donne! Continua a sembrarci paradossale che le più grandi donne della storia della Chiesa, le sante mistiche, fondatrici, sante della carità e dottori della Chiesa… non siano rimaste ad aspettare che fosse loro attribuito una carica né abbiano smesso di lavorare sperando che fosse istituito uno specifico ministero apposta per loro. Sapevano bene qual era il loro posto: unite a Cristo, figlie del Padre, figlie della Chiesa, sue membra a pieno titolo, perfettamente in grado di arricchirla con i propri carismi. Lavorarono alacremente per rispondere alle sfide più urgenti dei loro tempi. Non dovremo anche noi impegnarci, ciascuna dove è chiamata da Dio, per promuovere come Chiesa quella nuova evangelizzazione a cui instancabilmente ci chiama Benedetto XVI?

Magistero Pontificio

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